Gratti le croste con la lunetta bianca delle tue unghie grandi.
Accuratamente, come un rito, togli ogni singolo pezzetto marroncino ruvido. Non la strappi dopo averne sollevato un pezzetto, fai un lavoro meticoloso.
E nel frattempo il bianco diventa rosso del mio sangue. Sempre di più, sempre più scuro, a scivolare sulla pelle come fosse una parete liscissima. Guardi un po' i lembi della ferita inscurirsi e ricominci a raspare nel mio dolore, scendendo in profondità, facendoti spazio per entrare, a piene mani, nella carne viva.
Ogni tanto ti fermi a osservare il risultato: i miei umori che luccicano riflessi nei tuoi occhi avidi, le tue mani tanto grandi che tirano i nervi come fossero fili di marionetta. Non strappi niente. Sei un gatto che insegue una mosca, per giocarci non per ucciderla, ma inesorabilmente la ferisce. Coi polpastrelli fermi il sangue nelle mie vene blu, le guardi ingrossarsi e poi allenti la pressione per continuare più in là il sadico passatempo.
E io non ho occhi, nè cuore, nè voce per implorarti di fermare questo strazio, ma ho occhi, cuore e voce per vedere e percepire il gusto che provi e l'innocenza con cui, macabro, mi annienti.
1 commento:
Se non fosse così doloroso quello che srivi..è un post bellissimo.
Non so cosa scriverti, ma quante cose vorrei dirti.Tutte ad occhi e labbra chiuse, sospese tra il tuo volto e la mia mano che lo accarezza.
Sapessi quante strade vorrei indicarti, ma il dolore è una via solitaria ed intima in certi momenti.
Ti dico solo che fuori c'è il sole. E anche la notte è splendida.
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